Olimpia

OPERAZIONE “OLIMPIA”
L’operazione “Olimpia”, considerata la più grande offensiva dello Stato nei confronti della ‘Ndrangheta operante nella provincia di Reggio Calabria, è stata frutto dell’attività investigativa scaturita dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia.
Le indagini, condotte nei confronti di 563 persone, hanno consentito di svelare, per la prima volta, gli assetti e gli organigrammi di quasi tutte le famiglie e le cosche mafiose dell’area centrale, nonché i rapporti con quelle dell’area ionica e tirrenica. Ha consentito una ricostruzione puntuale delle più cruente vicende che hanno interessato i due contrapposti schieramenti, c.d. “destefaniani” e “imertiani-condelliani”, nell’intervallo temporale intercorso dai prodromi della c.d. prima guerra di mafia (1974-1977) alla “pax mafiosa”, raggiunta in seguito all’intervento, successivo alla seconda guerra di mafia (1985-1991), delle potenti famiglie Alvaro, “imertiana” e Nirta “destefaniana”, in concomitanza con l’omicidio del Giudice Antonio Scopelliti.
Complessivamente sono state acquisite e riscontrate precise responsabilità in ordine all’appartenenza alla ‘Ndrangheta di 502 persone, inserite in ben 20 cosche, alle quali sono stati contestati i reati di associazione mafiosa, associazione armata, omicidio, traffico di stupefacenti, traffico di armi, estorsione, furto, rapina, ricettazione, corruzione e altro.
Le indagini, coordinate dalla D.D.A. reggina e condotte dal locale Centro Operativo DIA, hanno permesso di cristallizzare l’esatta composizione delle fazioni in lotta e di individuare responsabilità certe in ordine a 148 omicidi consumati. Sul punto, è stata realizzata una ricostruzione storica di assoluto valore decrittando, tra l’altro, i reali motivi – riconducibili prettamente alla logica mafiosa – per i quali i contendenti si sono affrontati nelle due guerre di mafia, fornendo le chiavi di lettura dei numerosi omicidi.
In particolare, agli inizi degli anni 70, fu un’iniqua divisione di una partita di sigarette di contrabbando, effettuata dai DE STEFANO ai danni dell’incontrastata e dominante famiglia dei TRIPODO, a creare una frattura negli equilibri mafiosi che, pur risolvendosi con l’omicidio di DE STEFANO Giorgio, vide proprio il fratello di quest’ultima vittima, DE STEFANO Paolo, riconosciuto vincitore della prima guerra di mafia.
Furono, invece, due efferati fatti di sangue a segnare la rottura dell’unità raggiunta e ad avviare la seconda guerra di mafia: il tentativo, in data 10.10.1985, di uccidere i boss IMERTI Antonino e BUDA Natale, mediante l’esplosione di un’auto-bomba e, tre giorni dopo, l’immediata risposta che ne seguì, con l’uccisione del boss DE STEFANO Paolo nell’incontrastato regno del quartiere Archi di Reggio Calabria.
Le investigazioni hanno permesso di fare luce su un inquietante organismo verticistico della ‘Ndrangheta a livello provinciale, in grado di coordinare l’attività di tutte le locali ramificate in territorio nazionale ed internazionale, deputato a mantenere importanti rapporti con le altre consorterie mafiose della Camorra e Cosa Nostra, nonché pericolose connessioni eversive con frange dell’estrema destra (a cui è da ricondurre l’attentato al treno rapido 904, compiuto nel luglio del 1970 a Gioia Tauro), elementi deviati della massoneria, dei Servizi d’Informazione, delle Forze dell’Ordine ed esponenti politici delle Istituzioni.
Alla base della complessa attività dell’Autorità giudiziaria di Reggio Calabria si pongono le informative redatte d’iniziativa dal locale Centro Operativo DIA, compendiate in ben 60 volumi, che hanno delineato in modo puntuale i motivi della conflittualità latente tra le varie famiglie sin dal 1969, facendo luce su ben 360 delitti di sangue consumati durante la guerra di mafia e dando precise indicazioni sull’articolazione delle strutture criminali operanti nel capoluogo reggino e nei comuni limitrofi.
Si è trattato, senza dubbio, della più agghiacciante catena di omicidi avvenuta in un così breve arco di tempo, che ha terrorizzato l’intera comunità cittadina per la straordinaria potenza di fuoco messa in campo, attraverso l’uso di armi militari e di un gran numero di autovetture blindate, per la disponibilità di killer senza scrupoli e di interi gruppi armati dotati di inesorabile capacità operativa.
L’iniziativa giudiziaria è riuscita a colpire anche quei meccanismi estorsivi assai raffinati che, grazie al generalizzato clima di intimidazione, i clan hanno posto in essere sia al fine di controllare il territorio, sia allo scopo di realizzare vere e proprie acquisizioni di complessi aziendali e di iniziative finanziarie riconducibili all’immenso patrimonio illecito ‘ndranghetista, che conferisce alle organizzazioni mafiose un vastissimo potere economico e, di conseguenza, una grande capacità di condizionamento dell’economia sociale.
Si è fatta luce, nel complesso, su un collaudato sistema di riscossione delle tangenti, riscontrando le responsabilità soggettive di ben 63 condotte estorsive, stante l’accertata esistenza di un’unica struttura verticistica a cui sono affluiti tutti i proventi estorsivi, ridistribuiti poi, in base a criteri predeterminati, ai vari capi delle “locali”. E’ sintomatico che il raggiungimento di tale accordo sia intervenuto soltanto dopo la siglata pax (del luglio-agosto 1991) che aveva consentito, in sostanza, di pianificare ulteriormente tale attività delittuosa.
Le investigazioni hanno, altresì, consentito di delineare le estensioni dell’organizzazione criminale calabrese in territori ultra regionali ed internazionali, facendo luce sugli interessi, i traffici, le composizioni, l’area di influenza ed il modus operandi. Al riguardo, anche attraverso il supporto dichiarativo dei collaboratori, si sono riscontrate analogie tra le modalità formali di affiliazione e di giuramento, le assunzioni di “cariche” e le “progressioni in carriera” degli appartenenti alle cosche, operanti soprattutto in Lombardia, con i rituali esistenti e comprovati in Calabria. Per la prima volta si è riusciti a dimostrare l’esistenza, in seno alla ‘Ndrangheta, di un organo gerarchicamente superiore alle singole cosche, sull’esempio di analoga struttura di controllo in vigore nel sistema criminale della mafia siciliana (cd. Commissione provinciale).